21/03/13

Regressione.






Tutti i risvegli sono tragici, ma ogni giorno quel momento peggiora.




E’ un giorno in meno che ti distanzia dall’abisso. Non l’obsoleto timore della morte: non c’è più spazio per desideri di immortalità, sebbene si speri che qualche scienziato stia lavorando, se non per noi, per i nostri pronipoti, non c’è più spazio per avere paura di perderci quella fetta di torta che è una mezza vita passata a riflettere e a pensare di dominare il nostro corpo. Di morire riesce a tutti e non sarò da meno.




Di guardarsi allo specchio come faccio io, forse riesce a pochi: mi scavo negli occhi e cerco di capire cosa c’è dietro e mi fisso e mi mando a fanculo e il riflesso mi urla “picchiami fuori di te!” e mi ricorda che non so neanche piangere.



“Questa non è la tua favola,” mi ripete, “hai speso la tua adolescenza a guardare fuori dalla finestra, ti è piaciuto il film che scorreva davanti ai tuoi occhi?”.



Mi allontano e cerco di distrarmi con bei pensieri: sono in un bunker ed ai miei piedi sono legati e imbavagliati due tizi, già sanguinolenti, mi abbatto su di loro con tutta la forza che ho, tento di accecarli dando pugni alle sopracciglia, sono fuori di me e vomito su di loro cazzate come “questa è la carezza di Felix! Questo è il tuo risarcimento!” e intanto colpisco, sputo e mi fanno male le mani.



Torno nella mia camera e mi chiedo se qualcuno si senta come me, da qualche parte, in questo mondo, mi chiedo se ci sia qualcuno pronto ad imparare ogni giorno quello che abbiamo tentato di dimenticare: dove siamo finiti?




Siamo fottutamente vecchi e tutta l'infanzia, l'adolescenza, la vita ti passano davanti.



Dove sono finite le nostre grandi speranze? Volevo diventare calciatore, rockstar, poeta, avvocato, nullafacente.



Volevo diventare un uomo, volevo amare, volevo divertirmi. Ma ora siamo sul ciglio del burrone, non si torna indietro.



Tanto vale risolversi subito, prima che arrivi il tramonto dei nostri sogni, prima di continuare a vivere dicendo “avrei potuto farcela, stavo per farcela, ero a tanto così dal farcela” e tornare ai propri giorni vuoti pieni di lavoro, tipici di chi non ha neanche il tempo di avere paura.



Quando realizzi che la tua vita è stata una sconfitta, un nulla insignificante, anche per te che ci credevi, quando vedi i tuoi sogni morire in uno scambio con la puttana del denaro, sai che è peggio della morte. Perciò ora passo il tempo a pregare sapendo che sarò scannato dalla coscienza della sconfitta, come chi accetta di fare il cameriere tutta la vita, segretamente sperando di ascendere la scala sociale, cercando di correre per scoprire l’altra parte del mondo che non gli è dato di vedere.




Ho paura di cadere da dove mi trovo ora e di ammazzarmi e schifo tutta la merda che c’è nel mio palazzo, nel mio quartiere, la merda della mia città dove si marcisce come rifiuti, gli stronzi fumanti del mio paese, tutti doloranti per due pezzi di filigrana e per poter fottersi un aperitivo e andare a letto senza cena.



Sarebbe meglio essere sotto una dittatura o in un continente distrutto da fame e carestie, almeno non avrei delle speranze: sono quelle che ti fottono. Invece questa falsa libertà è ancora più asfissiante e queste facce sono quanto di più fastidioso io riesca a mal sopportare.



Vi vedo nelle vostre giacche e cravatte, vi vedo con le maniche tirate su quando fa caldo, con la camicia, con i mocassini, le scarpe a punta il sabato sera, il rolex da 300 euro, lo sguardo che dice "guardami, sto costruendo il mondo".
Ti guardo, ti guardo, ma vedo un pesce che affoga. Se i pesci fossero così stupidi, inutili e senza senso da affogare, se i pesci avessero delle caviglie che gli permettessero solo minuscoli passi.
"Guardami, per favore, sto realizzando il mio sogno, sono un uomo fatto e fortunato. Vedi la classe? Lo stile? Riesci a misurare il mio lavoro dai pori della mia pelle e dai vestiti sopra essa?"
Vedo solo una ragazzina con un piercing alla lingua che pensa di poter fare pompini migliori solo per questo.
Ogni tuo passo in questo posto è un fallimento, l'emblema del fallimento, sei il fallimento più totale, sei il "chi si accontenta gode", sei un minuscolo mondo, sei un granello di sabbia che spazza i culi dei bagnanti e non ti basta fallire una volta, ti piace ripeterti fino allo sfinimento, guardarti allo specchio, sudato, vecchio, brutto e pensare "ce la sto mettendo tutta, sto facendo davvero il massimo", questo dopo aver concluso la metà della metà della metà di un ottavo di quello che avresti potuto e dovuto fare.
Non è il fallimento in sè che mi fa ribrezzo, ma la tua soddisfazione triste, il risultato di anni di fallimenti ingiustificati e di noie e di scelte sbagliate, ripetute scelte sbagliate, quelle di un insaziabile imbecille.



Mi costringo a guardare dentro lo specchio lercio, l’abisso del mio inconscio, e di nuovo i miei occhi mi squadrano per dirmi “bravo, bel discorso, trai le tue conclusioni e prova ad ammettere la tua paura nel tentativo di distruggerla e di spiazzarla.”



“Le mura che mi circondano alimentano la mia paura.”



“Non basta. Sei un colpevole come tutti gli altri, ammetti la tua paura più profonda.”



“Ho paura di diventare come loro.”

2 commenti:

  1. 'vedo un pesce che affoga' mi è piaciuta molto.
    non sei l'unico a scavare nello specchio e neanche a non saper piangere.

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  2. L'importante è non essere soli.

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