27/02/13

La trilogia: il party-parte 1.





In macchina, guida tommaso, andiamo a comprare il beveraggio: litri di birra, jack daniels, coca, una robaccia verde, vodka a fiumi, bibite gasate per cocktail, wurstel e patatine per spuntini che non saranno mai mangiati. Per ora siamo io, stefano, il già citato guidatore, rebecca e davide.
La festa è stata organizzata da rebecca per non mi ricordo quale motivo e stefano si è infilato appena l'ha saputo per il semplice motivo di tentare di recuperare la relazione con lei, finita malamente mesi fa; io sono lì solo per ubriacarmi ed abusare di qualche altrettanto brilla ragazza, ma non conosco nessuno, e tommaso e davide sono due amici gay che, però, non sono attratti l'uno dall'altro. Eppure oggettivamente sono dei bei ragazzi: tommy è alto, ha una faccia pulita, due occhi verdi e capelli neri, mentre davide è un biondo magrolino con iridi azzurri. "Meno concorrenza", penso io.
A parte noi cinque, si attende altra gente, non meglio identificata, non si sa quanti, non si sa neanche se verranno. Va piuttosto bene.
Arriviamo a casa di rebecca e buttiamo tutte le buste su un tavolo dentro una specie di capanno grande quanto un soggiorno; dentro è stato già posizionato un computer collegato a due casse enormi che pomperanno musica per ore e ore. Al di fuori del capanno accendiamo del fuoco in un barile (come quelli dei barboni che si vedono nei film), ridiamo e ci riscaldiamo le mani, cominciamo a bere e ci conosciamo tra un bicchiere e l'altro.
Poco dopo l'inizio della festa compare giulio, altro amico gay della cricca noto per il fatto di essere fottutamente divertente e snodabile (lavora in un circo), solo che rimarrà l'unico sobrio proprio perchè il giorno dopo deve lavorare e quindi non lo vedrò mai in azione. Compaiono anche due ragazzi strani con dei cappellini piantati in testa, entrano, parlano con tutti, bevono due birre e dopo dieci minuti sono via, non ricordo neanche i loro nomi.
Continuiamo tutti a bere come ossessi e riusciamo a scrollarci il freddo di dosso, ci sediamo ogni tanto, chi per terra, chi su una sedia a sdraio, chi su delle normalissime sedie e parliamo del più e del meno, commentiamo la musica, cambiamo canzoni, che fai, cosa non fai. Tommaso comincia a raccontare la sua vita sessuale mentre davide lo guarda tra il divertito e lo sconvolto.
"forse non dovrei dirvi questa cosa...ma chi se ne fotte, ve la dico lo stesso" e ci rende noto che è stato felicemente inculato da un amico alla tenera età di quindici anni. Poi mi guarda negli occhi, si alza e dice "se fossi gay, ti scoperei", sono lusingatissimo, ma rifiuto la proposta sottintesa ridendo e spillandomi la vodka sulla felpa. Stefano non si allontana quasi mai da rebecca che se ne sbatte la minchia e deve comunque intrattenere tutti.
Siamo in una fase di stasi, mi preparo ad assaggiare quella cosa alcolica verde quando sento delle voci. Voci di ragazze.
Balzo fuori dal capanno, comincio a camminare barcollando leggermente verso di loro, le vedo, sono tre: una bruna, una bionda e una con i capelli neri. Mentre mi avvicino piano piano per il vialetto, sento una mano sulla spalla sinistra, è davide:
"vedi quella bruna? è fidanzata."
"cazzo, va bene."
Faccio altri due passi, altro tocco sulla spalla, è giulio:
"anche la nera è fidanzata."
"porca puttana."
Prima che stefano possa anticiparmi, mi giro verso di lui e chiedo "la bionda è fidanzata?" "no." "e finalmente, cazzo."
Mi presentano la nera, elisabetta, e la bionda, alessandra. Probabilmente anche l'altra, ma non ne ricordo il nome, perciò la chiameremo noname.
Ignorando quasi completamente le altre, comincio a parlare con alessandra, che non sembra dal canto suo, particolarmente interessata, le preparo un drink, ma non è intenzionata ad ubriacarsi come mi auspicherei io. Fa nulla, si procede.
Vado un attimo al cesso e becco stefano che si sciacqua la faccia e mi chiede come va, come se lui fosse stato da tutt'altra parte nell'ultima mezz'ora, magari è così davvero.
"ti piace qualcuna?", chiede lui.
"l'unica che si può, alessandra."
"ah, grande scelta, grande scelta." e mi incoraggia con una pacca sulla spalla.
"e a te come va con rebecca?"
"ci sto lavorando, ce la farò."
"bene."
Poi mi guarda come avesse avuto un'improvvisa illuminazione o come se si fosse appena risvegliato ed esclama "sì, cazzo, abbiamo degli obiettivi, abbiamo dei bersagli, dobbiamo farcela tutti e due, dai!", annuisco sorridendo come un ebete e lo caccio fuori per pisciare.

A questo punto il mio equilibrio è molto precario e l'annebbiamento della mia mente è simile ad una mattinata invernale milanese. Forse sono stato nel cesso a guardarmi allo specchio per un quarto d'ora o solo per cinque minuti, o mi sono perso magicamente nella casa guardando una bottiglia di candeggina e immaginando di scolarmela per fare la fine di un tizio che conoscevo, fatto sta che quando esco sembra che siano tutti scomparsi: nel capanno ci sono solo stefano e rebecca che limonano sdraiati a terra, con lui sopra.
Non voglio disturbarli, perciò cerco di riflettere, "dove cazzo possono essere andati tutti? Nel giardino non c'è nessuno, dalla casa sono appena uscito...merda. Sono andati via. Senza dire un cazzo. Bastardi infami puttane, senza dire nulla. Senza salutare. Come cazzo è possibile?". Comincio a bestemmiare in tutte le lingue, TUTTE, anche quelle che non conosco, mi ricordo perfettamente il pensiero dopo aver finito le bestemmie in italiano e in inglese: "ora bestemmio in aramaico: ALLAH SHTAZAR! ALLAH SCHAR!".

09/02/13

La trilogia: il condominio.

Nonostante la maggior parte dei miei conoscenti o amici stranieri lo trovino sconvolgente, io, come molti di voi, vivo in un condominio.
Il condominio italiano è un miniuniverso che comprende quasi sempre gli stessi tipi di persone, un microcosmo di follia e di urla e di cani che abbaiano alle quattro di notte.

Una persona che tutti, e dico tutti, hanno conosciuto nella propria vita è il vecchio pazzo e incazzato.
Questo vecchio di merda, che non tirerà mai le cuoia, sono venti anni che cammina lentamente, ma costantemente, e la sua funzione è rompere i coglioni al mondo, in qualsiasi modo. Deve sempre riposare. Non ha figli, perciò il gioco e il divertimento gli sono impossibili da comprendere. Non può capire che dei bambocci che vanno alle elementari, o alle medie, vogliono fare casino o giocare a pallone quando finiscono quelle stronzate che hanno come compiti.
Da più piccoli, il playground era il porticato, era perfetto: da una parte c'era il muro, dall'altra delle colonne e ad un estremo c'era una porta perfetta, con una traversa e l'ultima colonna a fare da palo. Era talmente palese che fosse fatto per giocarci a calcio che nessuno ebbe mai da questionare nulla.
Nessuno tranne il vecchio: "andate a giocare al parco, andate a giocare nel campo da tennis". Non c'era una motivazione che potesse spiegare perchè giocare lì fosse pericoloso per la pacifica vita del condominio, nulla.
Con gli anni cedemmo e ci trasferimmo nel campo da tennis, un po' scomodo per colpa della rete, ma ce la siamo cavata alla grande. Eravamo lì dalle quattro di pomeriggio fino a quando non si vedeva più un cazzo e continuavamo buttando via soldi a carte.
Ma non durò neanche quella soluzione, anzi il campo da tennis si trovava giusto dalla parte dove il rugoso aveva una finestra, spesso sentiva il dovere di affacciarsi e mandarci a fanculo o di dirci di smettere.
Abbiamo smesso, per altri motivi.

Invece l'asociale (boia, sembro un libro di severgnini, di quelli che vogliono essere simpatici facendo l'elenco dei tipi di persone) è quello che non ti parlerà mai, non ti ringrazierà mai se gli apri il portone, non ti saluterà mai, per nessun motivo, neanche per le condoglianze. Tu lo sai che esiste, ma lui non vuole esistere. Probabilmente non parla neanche con la moglie. Evita di usare l'ascensore, se c'è qualcun'altro, appena ti avvicini a lui, per evitare di parlare, fischietta o canta. Come se qualcuno, magari i tuoi genitori, gli abbia fatto un torto malefico nella notte dei tempi, come se fosse perennemente risentito per qualcosa, mai visto sorridere. Capisci che un giorno potresti diventare così e ti alleni a sorridere davanti allo specchio.



Scendendo nella tragicità, o risalendo, a seconda dei punti di vista, si arriva alla coppia dove la moglie maltratta il marito minuscolo e pensa di fare la miglior vita borghese. L'omiciattolo è un impiegatuccio da quattro soldi, che accumula debiti per soddisfare la voglia di vestirsi della moglie grassa, brutta, perennemente e pesantemente truccata come se dovesse mostrarsi al mondo nella sua "bellezza". Lui bestemmia spesso e volentieri e urla nel sonno, lo sento da tre piani di distanza, poi si alza, scende per andare al lavoro e comincia una manovra di circa tre ore che lo porterà a suonare il clacson senza motivo apparente, almeno una decina di volte. Piango spesso per la sua frizione.


Dulcis in fundo, ci sono tre donne che abitano insieme. Tre donne, avete letto bene. Non avete idea di cosa succeda in quella casa, e neanche io, per fortuna, ma quel poco che riesco a percepire sembra terrificante: la madre è divorziata da anni e vive con le due figlie di cui una ha passato la gioventù a spompinare comitive di amici, mentre la seconda ha pensato bene di farsi ingravidare, sposarsi, partorire e divorziare (tale madre, tale figlia).
Dove vorrà vivere il bambino? Proprio in questa infelice casa.
La neomamma, da quasi dieci anni ormai, è la più agguerrita di tutte e cammina con i tacchi mentre urla che lei se ne vorrebbe andare via, ma non può perchè c'è crisi, l'affitto costa e lei è da sola (intanto il marito quarantenne è diventato un pazzo metallaro che performa headbanging in raduni di motociclisti). Il bambino piange e urla precisamente negli orari in cui devo studiare, non sbaglia mai di un minuto, è un fottuto orologio svizzero. Se proprio non può fare casino, alza il volume della tv per tenermi aggiornato sui cartoni delle nuove generazioni, gliene sono gratissimo. Dopo un urlo di troppo, la madre lo mena o la zia lo mena o la nonna lo mena e lui piange, urlando più forte. Probabilmente lo sedano ad una certa ora. Ma non basta sedare il bambino per ottenere un po' di pace: mentre lui dorme, le donne hanno tempo per litigare:
"tu non hai pagato le bollette!"
"allora dove sono?"
"quali?"
"quelle che sono arrivate questo mese."
"ora te le faccio vedere."
"dai, MOSTRAMELE, MOSTRAMELEEEEEEEEEEEEEEEE!"
"calmati! CALMATI!"
"NOOOOOOO, FAMMI VEDERE, PAGHERO' TUTTO, ROMPICOGLIONI!"
"SEI COME TUO PADREEEEEEEEEEEEEEEEEE!"

e via discorrendo.


Noi abbiamo smesso, per altri motivi.
Uno è andato a milano per l'università.
Uno studia medicina.
Uno lavora.
Uno è andato in cerca di lavoro al nord.
Un altro è a napoli.
C'è chi tenta di fare il giornalista.
Chi lavora grazie agli agganci del padre.
Io sono qui che scrivo e il tennis non mi ha mai entusiasmato.