Il cantante chiede aiuto e comunque ti fa emozionare perchè nel pubblico puoi vedere una marea di ragazzi, come me, come te, con gli occhi chiusi mentre cantano quella canzone che hanno ascoltato diecimila volte e che li ha aiutati ad andare avanti, in un milione di situazioni tutte tristemente uguali e ripetute, perchè ci sono solo due cose nella nostra vita: il muro e la musica.
Uno si prende i pugni fisici e l'altra le botte mentali.
Il cantante chiede aiuto, ma tu non lo fai. Perchè noi non chiediamo aiuto, noi diciamo agli altri "reach out": allunga la mano e qualcuno la afferrerà. E qualcuno la afferra sempre, per un motivo o per un altro, e prova a darti una mano, a cercare nuove medicine, quando ti serve solo compagnia e la compagnia dev'essere ogni volta nuova perchè accade sempre, sempre, sempre che qualcuno nel darti la mano tenti di avvicinarsi al tuo cuore, ma lì non c'è posto per nessuno e, da una parte, è meglio che sia così.
Reach out, ti dico mentre un mezzo uomo di merda cerca di ucciderti sottilmente pensando "meglio la mia ex morta che con un altro". Reach out, ti dico quando guardi in basso da altezze spropositate, io che mi tengo saldo alla ringhiera quando fumo sul balcone. Reach out, quando torni a casa ubriaca e sconsolata sperando che qualcuno dall'altra parte del mondo cambi idea. Reach out, dico a quel pazzo del grande gatsby, mentre sogno spiagge su cui non ci vedremo mai e nessuna luce verde si staglia all'orizzonte per me e nessuna luce nei tuoi occhi e nessun luccichio della tua collana nel buio.
Il mio maestro invece no. Prima mi guarda negli occhi e mi dice che dovrei essere onesto. Onesto. Onesto. E io mi sento in colpa.
Poi rievoca avvenimenti passati, ere fa, vite fa, in cui eravamo vicini ad affrontare la morte ed a lottare per la libertà mentre ognuno infondeva all'amico il coraggio.
Non il coraggio di chi crede di farcela, ma il coraggio di affrontare la morte.
E mi dice che posso scegliere. E mi dice:
Reach in.