Finisco di lavorare e torno a casa. Non c'è tempo per studiare, perciò mi rilasso un attimo e ceno ad orari bruschi come le sette di sera. Il tutto perché alle nove devo andare ad un concerto con Greg e Maggie che si trova dall'altra parte della città. Mi ingollo una bistecca con degli spinaci surgelati cucinati malissimo, ma va bene così. Infilo due succhi di frutta alla mela nello zaino, una bottiglietta d'acqua e preparo due canne per la serata. Mi avvio lentamente verso la metro, in puntuale ritardo, e arrivo a destinazione trovando Maggie sulla banchina ad aspettarmi. Usciamo dalla metro e rintracciamo Greg che era ovviamente uscito dall'altra parte. Greg e Maggie sono due colleghi di lavoro, lei è polacca, lui è francese. Bei tipi. Sanno sembrare professionali quando c'è il bisogno, e almeno Maggie lo è davvero.
Ci avviamo verso il posto del concerto che dovrebbe essere una specie di centro culturale, quindi centro sociale. Tira un cazzo di vento e non riesco ad accendermi la canna in mezzo alla strada, pioviggina anche un po'. Rinuncio e penso che me la fumerò dentro. Arrivati lì, notiamo subito che i cessi sono fuori dall'edificio. Entriamo in uno stanzone enorme e quasi vuoto se non per tre serie di divani organizzati in modo da offrire un punto di dialogo ai fattoni vari ed eventuali. C'è ancora poca gente. Poi passiamo un'anticamera ed entriamo nel luogo dove c'è il palco, il bancone del bar e altri divani e tavolini. Paghiamo l'offerta libera e una bambina ci timbra il dorso delle mani. Ci sistemiamo su di un divano, poggiamo i giubbotti e ci attrezziamo con la vodka polacca di Maggie, i bicchieri di Greg e il succo di frutta alla mela, creando un cocktail pesante, ma abbastanza buono. Io accendo la prima canna. Beviamo e fumiamo un po', tutti quanti. Greg lo sapevo che apprezzava l'erba, ma Maggie quasi non me l'aspettavo. Però sono contento, certe esperienze vanno condivise completamente quando si è insieme.
La band per cui siamo venuti, su mia proposta, è una band francese di rock sperimentale, o math rock, se vi dice qualcosa, e suona come seconda band. Li ho già visti qualche mese fa e hanno spaccato di brutto. Mi sono scaricato due loro album e me li sento con piacere anche se i testi non sono spesso comprensibili, nonostante cantino in inglese. La band prima di loro è composta da una ragazza che canta e un mezzo barbone che mette la base elettronica giochicchiando con la consolle. Lei canta in francese e una canzone, ovviamente, dice "fuck the police" o qualcosa di simile. Credo sia quasi obbligatorio che almeno una delle band suoni una canzone contro la polizia in un posto del genere.
Continuiamo a fumare finché non è il momento del gruppo francese. Poi ci sistemiamo sulla destra dello stanzone con il palco, dato che il centro era già occupato da un po' di gente. Così stiamo in disparte, vediamo tutto, ma possiamo bere e fumare con calma. Io ho lo zaino sulle spalle perché fidarsi è molto interessante, ma in un posto del genere non si sa mai. Anche se non c'è quell'atmosfera da fattoni tossici che ti rubano tutto, ma piuttosto del "vogliamoci tutti bene". Si percepisce.
Il gruppo parte con un'energia incredibile e noi cominciamo a muovere la testa a tempo, a ballare sul posto muovendoci a cazzo, sempre di più, sempre di più. Caccio la seconda canna e fumiamo lì, mentre continuiamo a bere. Passo la canna a Maggie che chiude gli occhi, fuma e continua a ballare. E' bella da vedere. E' stupido, ma stiamo vestiti da lavoro tutto il giorno e poi quindi non ci aspettiamo di vederci mezzi sballati. Eppure nessuno di noi è neanche vicino ai trenta.
Balliamo, balliamo, mi godo il momento. Sono abbastanza di fuori tra alcol ed erba e sono felice che ai miei amici piaccia la band. Sono fortissimi. Durante l'ultima canzone, il cantante scende dal palco e suona la tastiera in mezzo alla gente. E' un ragazzo come noi. Bravissimo. Sa bene come mantenere l'attenzione del pubblico. Lo copriamo giustamente di applausi e poi torniamo sul nostro divano a finire l'alcol. Parliamo di come stiamo vivendo l'esperienza lavorativa e di cosa faremo nel futuro. Maggie andrà a fare un master in Olanda. Mi dice quasi con gli occhi lucidi che non vuole invecchiare e mi chiede di andarla a trovare in Olanda. Dopotutto è vicino. E c'è la droga. Sicuramente andrò, le dico. Non seguiamo la band successiva, ma approfittiamo del fatto che siamo completamente fatti e soddisfatti per uscire e prendere l'ultima metro per poter tornare a casa.
Torno a casa e tutti i coinquilini dormono perché il giorno dopo lavorano. Io ho preso il giorno libero venerdì e non ho di questi problemi. Ma sono abbastanza stanco. Perciò, fumo una canna finale mentre ascolto musica a caso e mi butto sul letto.
Venerdì.
Mi alzo a mezzogiorno e faccio colazione. La colazione attuale consiste in due uova, due fette biscottate con burro d'arachidi, una banana, un bicchiere di succo di frutta. Di solito d'arancia, ma ora è avanzato quello alla mela dalla sera prima. E' il mio giorno libero perciò rimango un po' in pigiama e mi fumo una canna sui materassi che abbiamo messo nell'angolo televisione stile harem dei poveri. Molto funzionale e molto comodo. Mi riprendo mentre sale Antonella, appena svegliata anche lei dato che ha lavorato la notte. Cerca di riprendersi, ma sta chiaramente dormendo. Io faccio un'altra canna. Penso di essere rimasto sul divano fino alle cinque. Poi mi sono alzato e ho pranzato. Devo farmi una doccia. Sto sfatto. Sotto la doccia mi riprendo un po', ma sono ancora frastornato e focalizzo la mia attenzione sul non cadere fuori dalla vasca e sul godermi l'acqua calda. Successo. Torno in camera e faccio un'altra canna mentre torna Giuseppe dal lavoro. Si aggiunge subito, ancora vestito bene, a fumare in camera mia. Decidiamo di cenare fuori, sushi. Non abbiamo finito la canna e ce la portiamo in macchina, senza neanche aprire il finestrino. Giriamo un po' per trovare parcheggio e poi ci infiliamo nel locale. Venti minuti di fila, e va bene, è uno dei migliori per qualità/prezzo, e finalmente ingolliamo maki come se piovessero, inzuppandoli indifferentemente in due salse di soia, una dolce, una salata. Usciamo dal sushi soddisfatti ed il prossimo passo è un pub. Parcheggiamo vicino ad un laghetto, vicino ad una piazza principale che pullula di gente che balla e beve, ma principalmente fa la fila per prendere un cazzo di drink da un barista ventenne che deve ricordare le ordinazioni di quindici persone. Guardiamo il laghetto mentre fumiamo un'altra canna prima di entrare nel pub. Nel pub non c'è posto, quindi prendiamo le birre e ci rintaniamo nella sala fumatori. E' piccola e devi scendere delle scale per arrivarci. Ci saranno dieci persone. Due gruppi di amici e un paio di coppie. Un nero si prepara un cannone impassibile sotto gli occhi della telecamera che guarda tutta la stanza. Noi abbiamo finito tutto quindi ci concentriamo sulle birre. Quel che ci è possibile. Almeno parlando per me. Non sono assolutamente lucido e mi perdo a guardare una tipa figa con dei jeans attillati e una camicia gialla a fiori. Ogni tanto sorseggio la birra. Ritorno nel mondo reale quando Antonella dice di essersi portata del fumo, "in caso di emergenza", e Giuseppe propone di farne una direttamente lì. Nonostante l'odore possa sentirsi chiaramente in una stanza così piccola, nonostante la telecamera e nonostante i camerieri che entrano ogni tanto a ritirare bicchieri vuoti. Dopo una breve votazione, decidiamo che la canna va fatta. Giuseppe si nasconde dietro di me e scioglie il fumo. Poi la fumiamo a turno cercando di non dare nell'occhio. Non so con quale successo, ma nessuno ci ha rotto i coglioni, men che meno i camerieri. La tolleranza in questo paese è altissima o siamo noi che osiamo tanto e restiamo impuniti? Belle domande.
Torniamo a casa. Camera mia. Ultima canna.
Mando un messaggio a Judy. E crollo.
Sabato.
Mi sveglio e da brutta persona resto nel letto per un'ora e passa mentre messaggio con Judy e ci aggiorniamo vagamente e brevemente sui nostri trascorsi. Non ci sentiamo da un po'. Intanto wake 'n bake. Non fatelo, bambini a casa! Metto su Bob Dylan, il concerto, quello vero, non quello dove gli gridano "Judas!", alla Royal Albert Hall del 1966. Fumo. Pranzo. Fumo. E mi vengono idee strane. Non sono ormai lucido da un giorno e mezzo e fantastico su incubi ad occhi aperti di me e Judy che ci riuniamo, di me che tento il suicidio invitandola a convivere con me. Ma Judy in una città come questa mi prende e mi rivolta come un calzino lasciandomi con i nervi scoperti come i Simpson nel finale di una delle puntate di Halloween. Non dirmi che non te la ricordi.
Nella vita reale, il mio videogioco preferito, cammino e vado ad una festa, conosco gente, fumo sul terrazzo del locale importunando ragazze a caso. Prendo numeri che non daranno una risposta, ballo un po', scappo dal locale perché mi sono rotto il cazzo di socializzare. Ma non mi sembra di fare nessuna di queste cose. Ho il cervello altrove e sto sognando ad occhi aperti, ad ogni passo che faccio. Parlo con persone, ma non sono lì. Sto parlando con me stesso, rielaborando i messaggi di Judy e cercando di capire se c'è uno spiraglio in cui io possa infilarmi per dire "sai, Judy, vediamoci, parliamo, guardiamo un film mentre fumiamo, come ai vecchi tempi". E vado un po' troppo oltre perché non conosco la sua situazione attuale, a parte quello che vuole lasciare trasparire. Potrebbe avere un ragazzo come no. Non mi importa. Gli spacco la faccia perché mi assomiglia troppo. Sono nel letto alle cinque di mattina e cado in un sonno profondo mentre la candela che ho acceso nella stanza rimane l'unica luce, l'unica via da seguire.
Nel sogno sono in una specie di festa in una villa con all'interno una piscina verso cui io e Judy ci stiamo dirigendo. Un maggiordomo ci ferma prima di farci entrare e lascia passare solo lei spiegandomi che "devi smetterla di fare il grande Gatsby, Urno". Judy entra senza preoccuparsi di me e immediatamente abbraccia un tipo che sembro io qualche anno fa. Magari sono proprio io. O è solo uno che mi somiglia in modo incredibile. Non mi lamento con il maggiordomo. Lui mi dice pacatamente "questo è l'inferno". Io mi giro e vado in un salone in cui, in una comoda gabbia, c'è uno specchio nero. Il riflesso mi parla.
"E' finita. Hai sbagliato. Cosa vuoi recuperare? Ti senti in colpa, piccino? Gli errori passati sono errori passati, non si può fare nulla."
"Voglio ossigeno. Voglio trattare Judy come dovrebbe essere trattata da quei coglioni che non hanno le capacità per tenerle testa."
"Neanche tu le hai. Lo sai che ti ucciderà."
Ma io lo voglio.
Lo specchio nero è ora in una radura. Sono io dentro la gabbia e dalla destra arrivo io, di nuovo, con gli occhi iniettati di sangue, una lancia in mano, a petto nudo, e questo altro me si dirige verso di me con la netta voglia di uccidermi. L'adrenalina mi sale in corpo e con le unghie scavo nelle sbarre della gabbia, senza successo. L'altro me infila la lancia nel terreno, poco fuori dalla gabbia, si ferma e mi guarda negli occhi, quasi premendo la faccia contro le sbarre. Mi piace molto di più questa parte di me, ora che la guardo. Lui chiude gli occhi, fa un respiro profondo, torna a guardarmi e mi dice:
"Devi smetterla di pensare che tutto riguardi te. Non sei il centro del mondo. Sei di passaggio nelle vite degli altri e come loro hanno influenza, tu non ne hai su di loro. Non hai quel peso che pensi di avere. Sei nulla. Sei passato. Sei finito."
"..."
Sono un re. Mi hanno rubato le regine.
"C'è qualcuno più importante di te. Come hai fatto a non capirlo? Sei FUORI, ragazzo. Ora, tutti i tuoi sogni di salvezza a chi si rivolgeranno?"
"A me stesso."
Non dal perdono vostro, ma dal mio sarò perdonato.
L'altro io mi sorride e mi passa la lancia gentilmente. So cosa devo fare. La lancia scalfisce le sbarre e comincio a distruggerle per liberarmi.
Mi sveglio, la candela è ancora accesa. Dormiveglia. Mi riaddormento.
Sogno Judy che cerca di capire come finire un puzzle mentre mi racconta dettagli su droghe e amore e di come lei faccia male a chiunque. Io e Judy ci siamo sicuramente fottuti, in gran parte, i recettori della dopamina grazie al nostro continuo ed imperterrito abuso di droghe di vario tipo. Mi chiedo se riuscirò ad essere felice anche senza droga in futuro. Mi chiedo se lei se lo chieda. Mi riempie di dettagli per cercare di fare stare male me, ma io la ringrazio e le chiedo di dirmi di più. Piccole cose che mi scalfiscono per un secondo e poi passano oltre. Allora mi siedo al tavolo dove è lei e le racconto un aneddoto io.
"Sai, Judy. Ho fatte delle cose terribili. Una delle più simpatiche riguarda te. Avevo fumato, forse anche bevuto. Ero con una ragazza che mi piaceva a giorni alterni. Le volevo bene, ma non c'era niente di più e sapevo che non ci sarebbe potuto essere. Quella sera, però, cominciammo a scopare e con il passare dei minuti, sarà stata la droga, sarà stato l'alcol, la faccia di lei è cambiata. Si è trasformata completamente. E' diventata la tua."
Judy finge di non prestare attenzione, ma i suoi micromovimenti mi fanno capire che sta seguendo molto bene.
"E allora ho fatto l'amore con quella ragazza vedendo la tua faccia, credendo di farlo con te. E lei anche credeva lo facessi con lei, ma non era così. Terribile se l'avesse scoperto, non credi? Ma non ci vedo nulla di sbagliato. E' stata un'esperienza bella."
"Vai via.", mi dice lei.
"Sono qui perché mi serve della droga. Lo sai che non ho contatti qui. Prendimi un grammo e poi vediamoci. Una notte."
Il puzzle diventa 3d e prende la forma di un rombo arancione. Lo butto giù con la mano e torna in mille pezzi. Judy si alza, mi dà le spalle e parla.
"Ogni volta che amo qualcuno, creo casini nella sua vita."
Storie sentite mille volte.
"Non vado bene."
Si gira e mi mostra le sue cicatrici. A me viene solo voglia di baciarle e dirle che è amata. Lei va via camminando piano. Io le urlo dietro:
"Io ti amo, eppure non mi sembra che questo crei problemi nella tua vita. Al massimo li crea nella mia."
Domenica.
Mi sveglio di nuovo con una sensazione di dolore al petto.
Le parole dell'altro me venuto dallo specchio tornano a marchiarsi a fuoco dietro la mia fronte:
C'è qualcuno più importante di te. Come hai fatto a non capirlo? Sei FUORI, ragazzo. Ora, tutti i tuoi sogni di salvezza a chi si rivolgeranno?
Mi metto seduto su un lato del letto.
A me stesso.
Guardo i post-it sul muro. Uno dice:
TROVA IL MODO.
FAI FUNZIONARE LE COSE.
Un sorriso mi squarcia il volto. Con la lingua massaggio la punta del canino destro. Mi alzo.
Venerdì.
Mi alzo a mezzogiorno e faccio colazione. La colazione attuale consiste in due uova, due fette biscottate con burro d'arachidi, una banana, un bicchiere di succo di frutta. Di solito d'arancia, ma ora è avanzato quello alla mela dalla sera prima. E' il mio giorno libero perciò rimango un po' in pigiama e mi fumo una canna sui materassi che abbiamo messo nell'angolo televisione stile harem dei poveri. Molto funzionale e molto comodo. Mi riprendo mentre sale Antonella, appena svegliata anche lei dato che ha lavorato la notte. Cerca di riprendersi, ma sta chiaramente dormendo. Io faccio un'altra canna. Penso di essere rimasto sul divano fino alle cinque. Poi mi sono alzato e ho pranzato. Devo farmi una doccia. Sto sfatto. Sotto la doccia mi riprendo un po', ma sono ancora frastornato e focalizzo la mia attenzione sul non cadere fuori dalla vasca e sul godermi l'acqua calda. Successo. Torno in camera e faccio un'altra canna mentre torna Giuseppe dal lavoro. Si aggiunge subito, ancora vestito bene, a fumare in camera mia. Decidiamo di cenare fuori, sushi. Non abbiamo finito la canna e ce la portiamo in macchina, senza neanche aprire il finestrino. Giriamo un po' per trovare parcheggio e poi ci infiliamo nel locale. Venti minuti di fila, e va bene, è uno dei migliori per qualità/prezzo, e finalmente ingolliamo maki come se piovessero, inzuppandoli indifferentemente in due salse di soia, una dolce, una salata. Usciamo dal sushi soddisfatti ed il prossimo passo è un pub. Parcheggiamo vicino ad un laghetto, vicino ad una piazza principale che pullula di gente che balla e beve, ma principalmente fa la fila per prendere un cazzo di drink da un barista ventenne che deve ricordare le ordinazioni di quindici persone. Guardiamo il laghetto mentre fumiamo un'altra canna prima di entrare nel pub. Nel pub non c'è posto, quindi prendiamo le birre e ci rintaniamo nella sala fumatori. E' piccola e devi scendere delle scale per arrivarci. Ci saranno dieci persone. Due gruppi di amici e un paio di coppie. Un nero si prepara un cannone impassibile sotto gli occhi della telecamera che guarda tutta la stanza. Noi abbiamo finito tutto quindi ci concentriamo sulle birre. Quel che ci è possibile. Almeno parlando per me. Non sono assolutamente lucido e mi perdo a guardare una tipa figa con dei jeans attillati e una camicia gialla a fiori. Ogni tanto sorseggio la birra. Ritorno nel mondo reale quando Antonella dice di essersi portata del fumo, "in caso di emergenza", e Giuseppe propone di farne una direttamente lì. Nonostante l'odore possa sentirsi chiaramente in una stanza così piccola, nonostante la telecamera e nonostante i camerieri che entrano ogni tanto a ritirare bicchieri vuoti. Dopo una breve votazione, decidiamo che la canna va fatta. Giuseppe si nasconde dietro di me e scioglie il fumo. Poi la fumiamo a turno cercando di non dare nell'occhio. Non so con quale successo, ma nessuno ci ha rotto i coglioni, men che meno i camerieri. La tolleranza in questo paese è altissima o siamo noi che osiamo tanto e restiamo impuniti? Belle domande.
Torniamo a casa. Camera mia. Ultima canna.
Mando un messaggio a Judy. E crollo.
Sabato.
Mi sveglio e da brutta persona resto nel letto per un'ora e passa mentre messaggio con Judy e ci aggiorniamo vagamente e brevemente sui nostri trascorsi. Non ci sentiamo da un po'. Intanto wake 'n bake. Non fatelo, bambini a casa! Metto su Bob Dylan, il concerto, quello vero, non quello dove gli gridano "Judas!", alla Royal Albert Hall del 1966. Fumo. Pranzo. Fumo. E mi vengono idee strane. Non sono ormai lucido da un giorno e mezzo e fantastico su incubi ad occhi aperti di me e Judy che ci riuniamo, di me che tento il suicidio invitandola a convivere con me. Ma Judy in una città come questa mi prende e mi rivolta come un calzino lasciandomi con i nervi scoperti come i Simpson nel finale di una delle puntate di Halloween. Non dirmi che non te la ricordi.
Nella vita reale, il mio videogioco preferito, cammino e vado ad una festa, conosco gente, fumo sul terrazzo del locale importunando ragazze a caso. Prendo numeri che non daranno una risposta, ballo un po', scappo dal locale perché mi sono rotto il cazzo di socializzare. Ma non mi sembra di fare nessuna di queste cose. Ho il cervello altrove e sto sognando ad occhi aperti, ad ogni passo che faccio. Parlo con persone, ma non sono lì. Sto parlando con me stesso, rielaborando i messaggi di Judy e cercando di capire se c'è uno spiraglio in cui io possa infilarmi per dire "sai, Judy, vediamoci, parliamo, guardiamo un film mentre fumiamo, come ai vecchi tempi". E vado un po' troppo oltre perché non conosco la sua situazione attuale, a parte quello che vuole lasciare trasparire. Potrebbe avere un ragazzo come no. Non mi importa. Gli spacco la faccia perché mi assomiglia troppo. Sono nel letto alle cinque di mattina e cado in un sonno profondo mentre la candela che ho acceso nella stanza rimane l'unica luce, l'unica via da seguire.
Nel sogno sono in una specie di festa in una villa con all'interno una piscina verso cui io e Judy ci stiamo dirigendo. Un maggiordomo ci ferma prima di farci entrare e lascia passare solo lei spiegandomi che "devi smetterla di fare il grande Gatsby, Urno". Judy entra senza preoccuparsi di me e immediatamente abbraccia un tipo che sembro io qualche anno fa. Magari sono proprio io. O è solo uno che mi somiglia in modo incredibile. Non mi lamento con il maggiordomo. Lui mi dice pacatamente "questo è l'inferno". Io mi giro e vado in un salone in cui, in una comoda gabbia, c'è uno specchio nero. Il riflesso mi parla.
"E' finita. Hai sbagliato. Cosa vuoi recuperare? Ti senti in colpa, piccino? Gli errori passati sono errori passati, non si può fare nulla."
"Voglio ossigeno. Voglio trattare Judy come dovrebbe essere trattata da quei coglioni che non hanno le capacità per tenerle testa."
"Neanche tu le hai. Lo sai che ti ucciderà."
Ma io lo voglio.
Lo specchio nero è ora in una radura. Sono io dentro la gabbia e dalla destra arrivo io, di nuovo, con gli occhi iniettati di sangue, una lancia in mano, a petto nudo, e questo altro me si dirige verso di me con la netta voglia di uccidermi. L'adrenalina mi sale in corpo e con le unghie scavo nelle sbarre della gabbia, senza successo. L'altro me infila la lancia nel terreno, poco fuori dalla gabbia, si ferma e mi guarda negli occhi, quasi premendo la faccia contro le sbarre. Mi piace molto di più questa parte di me, ora che la guardo. Lui chiude gli occhi, fa un respiro profondo, torna a guardarmi e mi dice:
"Devi smetterla di pensare che tutto riguardi te. Non sei il centro del mondo. Sei di passaggio nelle vite degli altri e come loro hanno influenza, tu non ne hai su di loro. Non hai quel peso che pensi di avere. Sei nulla. Sei passato. Sei finito."
"..."
Sono un re. Mi hanno rubato le regine.
"C'è qualcuno più importante di te. Come hai fatto a non capirlo? Sei FUORI, ragazzo. Ora, tutti i tuoi sogni di salvezza a chi si rivolgeranno?"
"A me stesso."
Non dal perdono vostro, ma dal mio sarò perdonato.
L'altro io mi sorride e mi passa la lancia gentilmente. So cosa devo fare. La lancia scalfisce le sbarre e comincio a distruggerle per liberarmi.
Mi sveglio, la candela è ancora accesa. Dormiveglia. Mi riaddormento.
Sogno Judy che cerca di capire come finire un puzzle mentre mi racconta dettagli su droghe e amore e di come lei faccia male a chiunque. Io e Judy ci siamo sicuramente fottuti, in gran parte, i recettori della dopamina grazie al nostro continuo ed imperterrito abuso di droghe di vario tipo. Mi chiedo se riuscirò ad essere felice anche senza droga in futuro. Mi chiedo se lei se lo chieda. Mi riempie di dettagli per cercare di fare stare male me, ma io la ringrazio e le chiedo di dirmi di più. Piccole cose che mi scalfiscono per un secondo e poi passano oltre. Allora mi siedo al tavolo dove è lei e le racconto un aneddoto io.
"Sai, Judy. Ho fatte delle cose terribili. Una delle più simpatiche riguarda te. Avevo fumato, forse anche bevuto. Ero con una ragazza che mi piaceva a giorni alterni. Le volevo bene, ma non c'era niente di più e sapevo che non ci sarebbe potuto essere. Quella sera, però, cominciammo a scopare e con il passare dei minuti, sarà stata la droga, sarà stato l'alcol, la faccia di lei è cambiata. Si è trasformata completamente. E' diventata la tua."
Judy finge di non prestare attenzione, ma i suoi micromovimenti mi fanno capire che sta seguendo molto bene.
"E allora ho fatto l'amore con quella ragazza vedendo la tua faccia, credendo di farlo con te. E lei anche credeva lo facessi con lei, ma non era così. Terribile se l'avesse scoperto, non credi? Ma non ci vedo nulla di sbagliato. E' stata un'esperienza bella."
"Vai via.", mi dice lei.
"Sono qui perché mi serve della droga. Lo sai che non ho contatti qui. Prendimi un grammo e poi vediamoci. Una notte."
Il puzzle diventa 3d e prende la forma di un rombo arancione. Lo butto giù con la mano e torna in mille pezzi. Judy si alza, mi dà le spalle e parla.
"Ogni volta che amo qualcuno, creo casini nella sua vita."
Storie sentite mille volte.
"Non vado bene."
Si gira e mi mostra le sue cicatrici. A me viene solo voglia di baciarle e dirle che è amata. Lei va via camminando piano. Io le urlo dietro:
"Io ti amo, eppure non mi sembra che questo crei problemi nella tua vita. Al massimo li crea nella mia."
Domenica.
Mi sveglio di nuovo con una sensazione di dolore al petto.
Le parole dell'altro me venuto dallo specchio tornano a marchiarsi a fuoco dietro la mia fronte:
C'è qualcuno più importante di te. Come hai fatto a non capirlo? Sei FUORI, ragazzo. Ora, tutti i tuoi sogni di salvezza a chi si rivolgeranno?
Mi metto seduto su un lato del letto.
A me stesso.
Guardo i post-it sul muro. Uno dice:
TROVA IL MODO.
FAI FUNZIONARE LE COSE.
Un sorriso mi squarcia il volto. Con la lingua massaggio la punta del canino destro. Mi alzo.
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